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MANZONI:

UN UOMO APERTO ALLE IDEE DI LIBERTA’ E DI PROGRESSO

 

                 Ritratto di Alessandro Manzoni, Francesco Hayez (1841), Pinacoteca di Brera, Milano.                                   Tomba di Alessandro ManzoniMilano, Cimitero Monumentale                                      

 

Biografia e produzione letteraria

 

A. Manzoni (Milano 7/3/1785 – 22/5/1873) è considerato uno dei maggiori romanzieri e poeti italiani di sempre, oltre ad essere il principale esponente del romanticismo italiano.

 In seguito alla separazione dei genitori, Manzoni viene educato in collegi religiosi, prima dai padri Somaschi e poi presso i Barnabiti. Pur essendo insofferente a tale educazione, da tali studi deriva una buona formazione classica.

La sua prima formazione si svolse nell’ambiente dell’Illuminismo lombardo e fu arricchita dalle nuove idee di libertà e di progresso che si affermavano in quegli anni. Di questo periodo è il “Trionfo della libertà”. Fu determinante per la sua maturazione culturale il soggiorno parigino (1805-1810), dove si reca per raggiungere la madre e durante il quale compone Urania.

La sua concezione della vita è simile a quella del Foscolo. Anch’egli è convinto dell’infelicità dell’uomo e vede ovunque e in ogni tempo il dolore. Pur prendendo atto dell’infelicità della condizione umana, il Manzoni credette nel progresso sociale e si impegnò a favore della democrazia, della libertà e della giustizia.

Nel 1808 aveva sposato la calvinista Henriette Blondel da cui ebbe nove figli. L’episodio più importante della sua vita fu la conversione alla fede cattolica, conclusione di un lungo travaglio spirituale che portò ad un definitivo appianamento delle sue concezioni pessimistiche. La fede in Dio indusse il Manzoni a considerare il dolore non più come cieco e inutile; prevale il concetto della “provvida sventura” ossia vede nella sofferenza un segno della presenza di Dio. In questo periodo compone gli Inni Sacri.

Nel 1819 pubblicò la sua prima tragedia, “Il Conte di Carmagnola”.

La morte di Napoleone ispirò “Il cinque Maggio”; dello stesso periodo “Marzo 1821”.

Attorno all’episodio dell’Innominato, storicamente identificabile come Francesco Bernardino Visconti, iniziò a prendere forma il romanzo Fermo e Lucia, la versione originaria de “I Promessi Sposi”, completato nel 1822. Dello stesso anno la pubblicazione della sua seconda tragedia “Adelchi”. Per dare vita alla stesura finale del romanzo a livello formale e stilistico, si trasferì a Firenze per “vivere” la lingua fiorentina che rappresentava per l’autore l’unica lingua dell’Italia unita. Rielaborò quindi I Promessi Sposi dopo la “Risciacquatura in Arno” pubblicandolo nel 1840.

 

I PROMESSI SPOSI

 

 

E’ considerata l’opera più rappresentativa del risorgimento e del romanticismo italiano e una delle massime opere della letteratura italiana.

L’opera ebbe anche un’enorme influenza nella definizione di una lingua nazionale italiana. In Italia, in effetti, non esisteva una lingua unitaria comune a chi parlava e a chi scriveva; il frazionamento politico del paese si rispecchiava nelle molteplicità di dialetti.

Ambientato nel Seicento lombardo al tempo della dominazione spagnola, è insieme romanzo d’amore e romanzo storico che offre riflessioni sul senso della vita e sul rapporto tra gli esseri umani e la religione, con il concetto più volte richiamato della Provvidenza. Vi compaiono personaggi umili che si affannano nella lotta quotidiana per la sopravvivenza e personaggi potenti che determinano a loro piacere la storia. L’opera narra le vicende di due popolani, Lucia e Renzo, due giovani che vivono in un paesino nei pressi del Lago di Como col desiderio di sposarsi ma che, a causa di una scommessa tra il potente don Rodrigo, signorotto del luogo e il cugino don Attilio, non riescono a coronare il loro sogno. Don Abbondio, il curato che deve celebrare il matrimonio è minacciato dai bravi e, per paura, si sottrae al suo impegno. Per un caso fortuito Lucia sfugge ad un rapimento ordinato da Don Rodrigo e con l’aiuto di Frà Cristofaro si rifugia a Monza, in un convento. Qui la potente suor Gertrude la inganna e permette che venga rapita dagli uomini dell’Innominato, a cui si è rivolto don Rodrigo. Portata al castello dell’Innominato, Lucia riesce a commuovere l’animo di quell’uomo. Lucia è libera e successivamente verrà ospitata nella casa di don Ferrante a Milano. Nel corso di questi avvenimenti Renzo, che ha raggiunto Milano, viene coinvolto in una protesta contro la mancanza di pane e mentre sta per essere arrestato, la folla lo aiuta a fuggire. Riesce poi ad arrivare a Bergamo e a trovare ospitalità e lavoro presso un cugino. Intanto agli orrori della guerra si aggiungono quelli della peste: le truppe mercenarie dell’esercito imperiale diffondono il contagio. Anche Renzo e Lucia si ammalano ma riescono a guarire. Finalmente dopo tante tragiche vicende, i due promessi sposi si incontrano nel Lazzaretto di Milano, il luogo dove vengono portati i malati di peste e dove Renzo, disperato, è andato a cercare Lucia. Con l’aiuto di Frà Cristofaro riescono a superare gli ostacoli che ancora si frappongono al loro matrimonio e si sposano. Si stabiliscono in un paese del Bergamasco e la loro vita diviene “da  quel punto in poi, una delle vite più tranquille, delle più felici e delle più invidiabili”. Renzo acquista con il cugino una piccola azienda tessile e Lucia, aiutata dalla madre, si occupa dei figli.

Il Manzoni riconosce la forza dell’odio come motore delle cose umane, ma vi contrappone il richiamo all’amore per il prossimo, alla solidarietà e alla carità. Sta qui il messaggio educativo del suo romanzo, efficace ieri come oggi.

Lo schema che regola i rapporti tra i vari personaggi è il medesimo di quello consolidato nel romanzo storico e nel romanzo d’avventura: accanto all’eroe (Renzo) compare l’antagonista (don Rodrigo) e l’oggetto del desiderio (Lucia). Ecco poi una folta schiera di sostenitori, dell’una o dell’altra parte, i “buoni” e i “cattivi”. Tuttavia la capacità di introspezione psicologica del Manzoni impedisce ai personaggi di assumere connotazioni nette: nessuno, infatti, tranne don Rodrigo, è completamente cattivo, e allo stesso modo, la condotta dei personaggi cosiddetti positivi, come Renzo, non è immune da errori e da ambiguità.

Renzo e Azzecca-garbugli  Lucia in un'illustrazione del 1840

 

L'Innominato  L'incontro tra fra Cristoforo e don Rodrigo

 

LA MONACA DI MONZA:

LA LIBERTA’ NEGATA DI SCEGLIERE LA PROPRIA VOCAZIONE.

La Monaca di Monza illustrata ne "I promessi sposi"

 

Il personaggio forse più misterioso ed enigmatico de I Promessi Sposi ritengo sia quello di Gertrude, ovvero la Monaca di Monza.

E’ il primo personaggio storico che incontriamo. La storia di Gertrude riprende quella di Virginia Maria De Deyva, nobile donna di origine spagnola, che fu costretta dal padre nel 1951 a farsi monaca e che fu condannata, dopo un processo (su cui l’autore si è ampliamente documentato) per aver commesso diversi delitti. Manzoni, adattando la realtà alla fantasia, costruisce ad arte la figura di Gertrude. Nel romanzo anche lei è una principessa il cui padre costringe insieme agli altri fratelli, ad esclusione del primogenito, a prendere la vita religiosa per non disperdere il patrimonio. Per questo il Manzoni ce la descrive come una donna fortemente triste, dall’animo tormentato e frustato, sempre insofferente a causa di questa vocazione che non ha mai scelto ma che le è stata imposta dalla famiglia.

Manzoni ce la presente in quanto Lucia, sotto consiglio di Frà Cristofaro, per sfuggire alle grinfie di Don Rodrigo, si reca al suo convento insieme ad Agnese.

La Monaca di Monza, dopo essersi fatta raccontare tutte le vicissitudini direttamente da Lucia, attratta ed incuriosita da tutte le avventure, accetta di accoglierla in convento. Manzoni ci fa capire la delusione di Lucia per lo spavento dovuto alle strane domande che la monaca le rivolge. Agnese la rassicura dicendogli che tutti “signori … han tutti un pò di matto”.

Lo scrittore ci fa una descrizione di Gertrude estremamente particolareggiata, ricca di sfumature sia dell’aspetto caratteriale che fisico da cui ne deriva un’immagine di una persona combattuta nell’animo in una vita che non sente sua, ma che sua è diventata, pur non avendola liberamente scelta.

L’aspetto fisico tradisce questo contrasto interno. I suoi occhi come le sue labbra lasciavano trasparire le sue sensazioni forti, comunque difficilmente interpretabili in quanto nel contempo contrastanti. Gertrude aveva circa venticinque anni, un viso fortemente bianco, occhi neri e imbarazzanti, gote pallidissime, labbra sbiadite. La sua era una bellezza ormai sfiorita perché trascurata. La fronte si raggrinzava spesso come per una contrazione dolorosa e gli occhi indecifrabili dai quali si esprime a volte rabbia, a volte dolore, odio, pietà. Ma ciò che di essi più mi è rimasto impresso è l’espressione immobile e assente, segno tangibile di un vuoto enorme e incolmabile. La ciocca nera dei capelli che fuoriesce dal velo nero dimostra non solo dimenticanza ma soprattutto disprezzo della regola che prescrive di tenerli sempre nascosti e corti.

Il Manzoni privilegia la descrizione dei risvolti psicologici, delle sue segrete speranze, dei timori, delle pressioni interiori, del disagio esistenziale, del bisogno d’amore, lo sforzo di non lasciarsi sopraffare dalla prepotenza altrui.

Anche nel vestire Gertrude dimostra di non sentire suo il ruolo di monaca in quanto anche la vita è troppo attillata e il suo portamento non è propriamente quello che si addice ad una suora.

Gertrude all’interno del monastero, pur non essendo badessa, godeva di numerosi privilegi dovuti all’importanza della sua famiglia di origine che anche in paese era riconosciuta prioritaria.

Ciò gli dava rispetto; in paese tutti la conoscevano come la “signora” e sapevano che era in grado di superare qualsiasi difficoltà pur di raggiungere lo scopo che si prefiggeva.

Nel convento aveva un ruolo speciale, tra l’altro aveva la stanza più bella, situata in un’ala del convento vicino ad una casa abitata da un certo Egidio, che un giorno osò rivolgerle la parola – “La sventurata rispose”. Per nascondere la sua successiva relazione, scoperta da una suora che aveva minacciato di riferirlo e la ricattava, non esitò ad ucciderla. Emerge così il lato più feroce, crudele e insensibile di Gertrude. Una donna spietata e senza scrupoli ma nel contempo inquieta; un animo orgoglioso e debole insieme, vanitoso, solitario,  insofferente e profondamente inquieto.

 

IL TEMA DELLA LIBERTA’ CARATTERIZZA MOLTI DEI SUOI SCRITTI

 Lo scrittore prende parte alla lotta per la libertà italiana:

TRIONFO DELLA LIBERTA’

Preferisce i modi legali a quelli rivoluzionari e violenti per la conquista della libertà dei popoli.

MARZO 1821

La libertà dell’Italia è vista come risultato di una crociata perché la lotta sarà benedetta da Dio.

ADELCHI

“Dagli atri muscosi, dai fori cadenti …”

Gli italiani si illudono di raggiungere con un nuovo Signore la libertà soffocata dai Longobardi. Un popolo però non può ricevere la libertà da altri: il riscatto è solo nella difesa della propria dignità.

Nelle tragedie Manzoni respinge le unità aristoteliche perché gli impedirebbero una articolazione piena e libera della vicenda; nelle tragedie classiche l’azione si svolge nelle quarantotto ore. Adelchi invece è un dramma in cinque atti, della durata storica di tre anni, dove vengono rappresentati gli avvenimenti che si svolsero in Italia subito prima della caduta del Regno Longobardo.

Il coro nella tragedia viene inteso dall’autore, che per primo lo introduce, come lo spazio in cui può esprimere il proprio giudizio sugli eventi esprimendo le proprie considerazioni e dando così la propria chiave di lettura. Il coro potrebbe anche essere eliminato dalla rappresentazione ma è per il Manzoni il suo cantuccio lirico.

Nel primo coro viene descritto il risveglio del popolo latino che umiliato dalla schiavitù spera nella libertà animato dall’antico orgoglio della civiltà romana. Nella parte centrale si descrive l’umiliazione del popolo longobardo in fuga a seguito della sconfitta. Nell’ultima parte i vincitori Franchi sono descritti lontani dalla loro terra di Francia e nostalgicamente legati agli affetti in patria. Con un’interrogazione finale al popolo italiano, “pensate voi che costor abbiano affrontato una dura battaglia per risollevare le sorti di un popolo straniero?” “E’ solo un’illusione, la libertà non può venire da altri”.

Il secondo coro rappresenta il travaglio di Ermengarda, figlia di Desiderio, re dei Longobardi.

 

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